Personaggi che osservano sé stessi, che scavano in profondità, che si auto-analizzano per provocare, di rimando, una riflessione nel lettore.
Tra le pagine scorre la vita interiore dei personaggi, più che le loro azioni: ciò che pensano, provano e percepiscono è più centrale rispetto a ciò che fanno, e spesso la trama e gli eventi esterni sono solo la cornice che ne inquadra l’evoluzione (o involuzione) emotiva.
Sono queste le caratteristiche principali dei cosiddetti romanzi introspettivi. La letteratura mondiale ci ha consegnato straordinari esempi di questo filone narrativo.
Come non pensare a Ulisse di Joyce, a L’educazione sentimentale di Flaubert o a Delitto e Castigo di Dostoevskij.
Lo scrittore russo, ad esempio, rende indimenticabile il suo personaggio, Raskòl’nikov, descrivendo proprio la sua dannazione interiore, il senso di colpa che lo scaraventa in un buco nero.
Altrettanto struggimento lo troviamo nelle lettere de I dolori del giovane Werther, in cui Goethe delinea in modo magistrale il percorso psicologico di un personaggio tormentato dall’impossibilità di dare un senso alla sua esistenza.
Oggi voglio soffermarmi in particolare su due romanzi che hanno segnato l’affermazione di una sorta di sottogenere del romanzo introspettivo: La coscienza di Zeno di Italo Svevo e Mrs. Dalloway di Virginia Woolf, pubblicati rispettivamente nel 1923 e nel 1925.
Romanzi psicologici: quando l’introspezione prevale sull’azione
Cosa stai cercando in questo articolo?
1. Mrs. Dalloway e la dilatazione dell’interiorità
Con Mrs. Dalloway Virginia Woolf sperimenta una scrittura liberatoria e catartica – un flusso di coscienza che si dilata in una dimensione senza spazio e senza tempo – che le permette di toccare temi drammatici, come la malattia mentale e il suicidio, con disincanto e fatalismo.
Il 20 aprile 1925, nel suo diario Virginia Woolf scrive che “la felicità è avere un filo sottile a cui le cose si attacchino”. E nel romanzo dello stesso anno Clarissa Dalloway ci confida che la sua sofferenza interiore è la zavorra che da sempre impedisce alla felicità di attaccarsi a quel fragile, sottile filo.
Clarissa (Virginia) ci racconta il male di vivere che la spinge sempre più giù, che la accompagna nelle lunghe e solitarie giornate ai margini di Londra.
Utilizzando le suggestioni della nascente psicoanalisi, l’autrice scava dentro al suo personaggio, lasciandone emergere le percezioni soggettive, le faticose elaborazioni di traumi e tormenti

2. La coscienza di Zeno, romanzo moderno e rivoluzionario
In Italia l’indagine sull’inconscio prende piede ufficialmente nel 1923, quando Italo Svevo, già noto per Una vita e Senilità, firma quello che tuttora è considerato una sorta di manifesto del romanzo psicologico.
La coscienza di Zeno, in effetti, introduce nella letteratura italiana un nuovo modo di osservare il reale: l’attenzione si sposta sull’interiorizzazione, sui moti della coscienza, sull’invisibile agli occhi.
Il capolavoro di Svevo è incentrato sulle vicende di Zeno Cosini, un commerciante triestino che si sente infelice senza sapere perché.
La sua “malattia” consiste nell’incapacità di agire, di decidere, di affermare la propria volontà. Zeno si sente schiavo dell’inettitudine.
Lo psicanalista a cui si rivolge gli consiglia di scrivere un diario: – Scriva! Scriva! Vedrà come arriverà a vedersi intero.
Zeno lo prende in parola e inizia a riversare sul diario i suoi disturbi, lo stato di inferiorità che gli sta addosso come una cicatrice, il senso di disagio che gli provoca il mondo borghese di cui egli stesso fa parte.
Le inquietudini di Zeno si sovrappongono alle nevrosi dell’uomo del Novecento, schiacciato dalla perdita dei valori in favore di una realtà economica sempre più centrale.
L’indagine di Svevo, dunque, è anche sociologica. Lo strumento utilizzato per indagare – la psicanalisi – è così potente e innovativo che da quel momento in poi, anche in letteratura, non si potrà più tornare indietro.
