Quali sono le città italiane più citate in letteratura? Secondo i dati di Google Books, il primato spetta a Roma (270.209 citazioni), seguita a poca distanza da Milano (250.831). Subito dopo troviamo Torino, citata 103.443 volte, e Napoli, con 78.288 citazioni.
Ho selezionato per voi alcuni autori italiani che, con le loro opere, hanno documentato nelle diverse epoche i valori, gli usi e i cambiamenti della società scegliendo come palcoscenico (e come metafora) proprio gli scorci, le piazze, i dialetti e il folclore di queste splendide città.
Le 4 città italiane più citate nei libri
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1. Roma: eterna e decadente
Fellini sta alla Roma cinematografica, come D’Annunzio sta alla Roma letteraria. Entrambi romani d’adozione, entrambi così innamorati della città da omaggiarla con opere destinate a diventare iconiche.
Per Fellini fu La dolce vita, per D’annunzio Il Piacere, pubblicato nel 1889.
La Roma dannunziana è decadente, vulnerabile, pronta a sgretolarsi sotto l’avanzata della speculazione edilizia. Ma è anche aristocratica, vanitosa, ubriaca dei suoi eccessi mondani. Una Grande bellezza ante litteram.
Un altro romanzo che in alcuni elementi – le atmosfere mondane, l’ipocrisia strisciante, il desiderio di apparire – anticipa la narrazione cinematografica di Sorrentino è Che la festa cominci di Niccolò Ammaniti, uscito nel 2009 e ancora – ahinói! – attualissimo.
Se Ammaniti aggiunge qua e là qualche elemento surreale per dipingere il marciume della Roma bene, Nicola Lagioia, con La città dei vivi (2020), non ha bisogno di appigli surreali per ricostruire l’omicidio di Luca Varani, uno dei più efferati e insensati degli ultimi anni, perché purtroppo quella in cui ci fa immergere è una realtà che supera ogni raccapricciante fantasia. Un’inesorabile discesa verso il baratro, la perdita di ogni traccia di umanità, e, sullo sfondo, una Roma in (altrettanto inesorabile) caduta libera.

2. Milano: affascinante e contraddittoria
Non date retta a chi dipinge Milano come fredda, frettolosa e frustrata; o almeno, guardate anche l’altra faccia della medaglia, sembrano suggerirci i grandi autori del passato – da Manzoni a Gadda, da Vittorini a Buzzati – che questa città “in cui tutto può succedere” l’hanno eletta a scenario perfetto per i loro capolavori.
Una fotografia realistica della Milano contemporanea, invece, è quella scattata da Marco Missiroli nel suo Fedeltà (2019), da cui è tratta anche una recente serie Netflix. È una città elegante e un po’ snob quella che fa da sfondo, registrando i fatti con discrezione, senza giudizio, ai conflitti di una coppia che si interroga sul dilemma della fedeltà.
Febbre di Jonathan Bazzi (2019) ci mostra uno spaccato decisamente meno sofisticato: è la Milano di periferia, dove si può incappare in tossici, tamarri e teppistelli, quella che filma il racconto (autobiografico) di coming out e accettazione dell’autore. Una Milano da cui si cerca di scappare, ma in cui si finisce sempre per restare.

3. Torino: raffinata e camaleontica
Tanti anche di libri ambientati a Torino, o che omaggiano Torino, o che provano a farcela conoscere meglio, oltre la coltre di nebbiolina che la cela, oltre l’aria sorniona e riservata che la rende sempre un po’ misteriosa.
C’è la Torino dell’indimenticabile libro Cuore di Edmondo De Amicis (1886), che profuma di neve, libri e inchiostro, la Torino inquieta di Pavese (La casa in collina, 1948), quella risorgimentale di Umberto Eco (Il cimitero di Praga, 2010).
E poi c’è lo spaccato contemporaneo. C’è la Torino che incarna storie toccanti, come quella di Alice e Mattia ne La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano (2008) o quella raccontata in prima persona da Massimo Gramellini in Fai bei sogni (2012); e c’è la Torino capace di portare allegria nella più grigia delle giornate, come fa Enrica Tesio con La verità, vi spiego, sull’amore (2017), un libro rinfrescante come una boccata d’ossigeno, frizzante come una chiacchierata tra amiche. Sincero, autoironico e pieno di personaggi spassosi.

4. Napoli: ironica e spavalda
Come raccontare una città complicata e pazza come Napoli? Come far percepire la generosità del suo popolo, le contraddizioni tra terra e mare, il frastuono del porto, dei mercati, dei vicoli? Come descrivere i mille colori che cantava Pino Daniele?
Forse l’unica che può riuscirci è proprio la letteratura.
Le nuove generazioni di lettori hanno imparato ad amarne le tante sfaccettature attraverso le pagine de L’amica geniale di Elena Ferrante (2011).
Tornando un po’ indietro scoviamo invece un piccolo classico della letteratura partenopea, nonché allegoria del genere umano: Così parlò Bellavista di Luciano De Crescenzo (1977). Il protagonista è Gennaro Bellavista, professore napoletano purosangue che tiene lezioni filosofiche sulla sua città, difendendola dalle tante banalità che si raccontano (”La vita a Napoli è ben altro, è un’arte sottile”).
A suo modo è un filosofo anche Vincenzo Malinconico, avvocato napoletano protagonista di Non avevo capito niente di Diego De Silva (2007). A Malinconico non glie ne va bene una sia sul piano personale che professionale, ma ha una grande dote: quella di far ridere. Contorto ma irresistibile.
